Sviluppo del ruolo sociale della donna
Attraverso il paradigma teorico-pratico della sociologia visuale a partire dall'osservazione della realtà sociale presente (immortalata delle immagini) e dall'analisi delle norme giuridiche possiamo rinvenire ad un quadro storico accurato sull'evoluzione del ruolo e dell'immagine della donna in diversi ambiti della vita sociale. Le dimensioni prese in esame in modo specifico riguardano l’ambito accademico , il lavoro, le libertà personali e l’estetica.
Con il Decreto regio del 3 ottobre del 1875 alle donne italiane è consentito per la prima volta l'accesso nelle università. Seppur il diritto all'istruzione superiore sia stato formalmente riconosciuto alla fine dell'ottocento le iscrizioni femminili erano spesso respinte specialmente da parte di facoltà scientifiche e giuridiche a causa dei pregiudizi culturalmente condivisi e anche perché alle donne non era ancora concesso di poter ricoprire determinate cariche professionali (specialmente quelle pubbliche).
Dunque, a livello sostanziale non poterono beneficiare liberamente di tale diritto fino alla prima metà del 900 tant'è che molte donne furono "indotte" a optare per facoltà umanistiche considerate all'epoca come la primissima opzione di istruzione universitaria femminile.
Oggi il diritto allo studio a livello nazionale è riconosciuto universalmente a tutti i cittadini ed è sancito dall'articolo 34 della Costituzione:
"La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi".
A livello internazionale lo rinveniamo nell'articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:
"Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e di base. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali…"
In relazione al diritto allo studio è importante concepirlo come strettamente correlato al diritto al lavoro. La donna, prima relegata a lavori esclusivamente domestici non-retribuiti con qualche eccezione durante le due guerre mondiali (in cui era concesso alle donne di lavorare in fabbrica per sostituire gli uomini al fronte con una retribuzione minima) vede riconosciuto il diritto al lavoro con la L.903 del 1977 legge che stabilisce la parità del trattamento lavorativo (in relazione a assunzioni, retribuzioni e carriera) tra uomini e donne.
Oggi il diritto al lavoro in riguardo alla popolazione femminile è sancito dall'Articolo 37 della Costituzione :
"La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.."
Le donne oggi ricoprono incarichi professionali di ogni tipologia, alcuni spesso all'epoca associati esclusivamente agli uomini. Nonostante i progressi, le discriminazioni contro le donne e il divario di genere nel mondo del lavoro persistono ancora e le donne sono ancora lontane dal raggiungimento dell'uguaglianza di genere, intrappolate in lavori poco qualificati e retribuite in maniera inferiore rispetto agli uomini. Dunque, la parità di genere in ambito lavorativo costituisce ancora oggi una sfida aperta per le politiche del lavoro e sociali che devono prevedere strategie integrate sfruttando un’ottica multidimensionale per far fronte e risolvere tali disuguaglianze.
Un periodo storico decisivo rispetto al raggiungimento
della parità di genere (ma non solo) è rappresentato dal "Movimento del Sessantotto ". Il 1968 in Italia fu un anno di svolta, in cui gli assetti
sociali tradizionali vennero messi per la prima volta in discussione in modo
radicale, avvenne una delle maggiori rivoluzioni culturali-sociali mai
segnalate. All'insegna delle numerose occupazioni e
proteste di più movimenti (operai, studenteschi, femministi) si
manifestò nelle università, piazze e strade di tutta Italia un dissenso di
massa volto a denunciare tutti i tipi di disuguaglianze esistenti portate
avanti dalla cultura patriarcale, tradizionalista e consumista dell'epoca.
Vennero contestate tutte le istituzioni: dalla famiglia alla scuola fino ad arrivare alla condanna più ampia ai "poteri forti" e alla politica in riferimento al perpetuarsi di conflitti armati nel mondo (durante il periodo della guerra fredda tra Stati uniti e Russia, con particolare attenzione rispetto alla guerra del Vietnam). L'obbiettivo finalistico condiviso tra tutti coloro che presero parte alla contestazioni del 68 era quello di creare una società più giusta e egualitaria su tutti i fronti.
Il "movimento femminista" del 68 va inteso non come "unico" e centralizzato ma come un insieme di più azioni collettive dislocate su tutto il territorio nazionale.
Queste azioni congiunte da parte di più associazioni
composte da donne nello stesso periodo corrisponde a quella che oggi è
denominata come la "seconda ondata del femminismo" che si sussegue alle
primissime ondate dell'800 ed è stata decisamente la più elaborata e significativa sul piano
ideologico.
I primi movimenti femministi miravano a far sì che ci fosse una "equiparazione" tra donne e uomini sul piano perlopiù giuridico che attiene dunque al riconoscimento formale degli stessi diritti politici e civili (Diritto di voto, Diritto al lavoro, Diritto all'istruzione ecc.).
Le seconde ondate di femminismo invece si soffermarono più sul riconoscimento a livello "sociale" e "culturale" del valore della donna che occupava un ruolo subalterno rispetto all'uomo in società. Le contestazioni attenevano soprattutto alle discriminazioni subite nella vita quotidiana più velate rispetto alle mancanze legislative passate oggettivamente identificabili. Ciò che contraddistingueva questo nascente femminismo moderno dal precedente era il non mirare ad una equiparazione con il mondo maschile ma al rivendicare le proprie differenze e i propri spazi di libertà in senso ampio: Libertà sessuale, Libertà dai ruoli univoci di "madre" e "moglie", Libertà di movimento, Libertà di espressione.
Una delle modalità attraverso cui era espresso il
desiderio di emancipazione era il vestiario.
La moda ebbe un ruolo decisivo nel
lungo percorso di liberalizzazione della donna rivoluzionando i canoni estetici
imposti, le donne, ebbero la possibilità di esprimere pienamente la propria
identità attraverso stili e accessori eccentrici che risentivano delle
influenze più anti-conformiste dei personaggi di spicco in ambito cinematografico e musicale a livello mondiale : era il periodo dei Beatles e dei Rolling Stones,
del fascino dei "contestatori" (jeans , scarpe da ginnastica, maglioni o montgomery ) e dello stile bon ton di Colazione da
Tiffany (1961). Una delle figure di spicco in quegli anni fu sicuramente la
stilista Mary Quant che ha rivoluzionato la moda con l'invenzione della
minigonna in voga sino ai giorni nostri .
Possiamo affermare che in questo periodo nasce una sensibilità estetica incentrata sulle esigenze di rinnovamento, in cui acquistano maggiore spazio d'espressione le generazioni giovani a scapito di quelle più anziane. Il fenomeno di contro-moda, si oppose quindi alle tendenze ufficiali: era un tipo di abbigliamento libero da schemi precostituiti, che manifestava a livello di costume, l'ideologia indipendente che animava le nuove generazioni degli anni 60.